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RicordiA Malchina sono rimaste ben poche persone, che quotidianamente si rifornivano allo Studenc, dato che alcuni sono emigrati senza lasciare molte tracce, altri invece ci hanno abbandonato per sempre. Il ricordo dei primi, che usufruivano dell’acqua dello Studenc, risale al massimo al periodo tra le due guerre mondiali, fino al primo dopoguerra, quando il comune ha provveduto all’installazione dell’acquedotto causando con ciò l’abbandono dello Studenc. Sono stati soprattutto i Pùnkerji, cioè gli abitanti di Punkišče, coloro che hanno usufruito dell’acqua dello Studenc. Se gli abitanti della Vas si recavano allo Studenc soltanto occasionalmente, nei periodi di grandi siccità, le famiglie pr Pèpci, pr Jušti, pr Nùtku, pr Tònčki, Tràmpuževi e Petelìnovi si recavano allo Studenc quotidianamente, d’estate anche più volte al giorno. Ad eccezione dei Petelìnovi, che possedevano alcuni capi di bestiame, queste famiglie si mantenevano col lavoro nelle cave o nel cantiere di Monfalcone. A prendere l’acqua si recavano soprattutto le donne accompagnate dai bambini e eccezionalmente, quando ne avevano voglia, anche gli uomini. L’acqua veniva portata con l’ausilio di catini di legno, che venivano portati sulla testa mediante lo svìtk (cercine) e a volte anche nelle luminjaste ljm’pe (secchi di alluminio). I bambini portavano l’acqua nei secchielli. Percorrevano lo stesso sentiero, che è segnato sulla mappa del catasto franceschino: esso partiva dietro la casa pr Nùtku, attraversava la pìpanova Mandrija e il klnkìčev Urànjik e continuava per il confine tra la proprietà dei Ridèljevi e dei Pànetovi (si tratta di piccoli appezzamenti di terra con lo stesso toponimo di Studenc) fino all’acqua. La carreggiata fatta dal comune non veniva utilizzata, poiché era “distante”, troppo lunga e meno “famigliare”. Nel caso di grandi necessità poteva succedere che qualcuno della Vas percorreva questa carreggiata fino alla proprietà dei Ridèljevi, lì lasciava il carro con i catini o i tini e li riempiva servendosi di secchi. Come accennato i Pùnkerji non erano contadini, perciò l’acqua veniva essenzialmente usata per cucinare, lavare i panni e per l’igiene personale. Comunque il consumo dell’acqua era in quei tempi minore rispetto ad oggi, perché la gente non dava molta importanza all’igiene personale. Per risparmiarsi la fatica di portare l’acqua alle case, le donne portavano soprattutto d’estate direttamente allo Studenc i panni sporchi, che venivano lavati e stesi ad asciugare sulla vicina proprietà dei Ridèljevi. L’acqua sporca veniva versata dal muretto che sosteneva il terrazzo davanti allo Studenc in modo da non permettere all’acqua sporca di mescolarsi con quella pulita. Ritornavano a casa con il cesto della biancheria pulita ed un secchio di acqua fresca. Soprattutto d’inverno lavavano i panni sporchi a casa, essenzialmente per due motivi: la minore esigenza di lavare la biancheria sporca ed il formarsi di uno strato di ghiaccio sulla superficie dell’acqua che all’occorrenza doveva essere rotto con le mazzuole o con dei sassi. In occasione di intense nevicate, la neve veniva raccolta, portata in casa per farla sciogliere ed ottenere dell’acqua. Questa soluzione consentiva di risparmiarsi la strada fino allo Studenc. Nonostante che il livello dell’acqua variasse con il cambiamento delle stagioni e quindi aumentasse nel periodo invernale per diminuire in quello estivo, i paesani si ricordano sempre la costante presenza d’acqua nello Studenc. Si riferisce inoltre che quando l’acqua veniva completamente svuotata, durante la notte il fondo veniva di nuovo sommerso. Questi fenomeni indussero gli abitanti a credere che ci fosse una sorgente che alimentava perennemente lo Studenc; essi hanno ancora vivo il ricordo dello “zvirk” (sorgente): “nella parte più profonda del catino, dove lo Studenc raggiunge una profondità massima tra i 3 ed i 4 metri, c’è una vena, dalla quale piano piano sgorga l’acqua”. A volte, nei periodi di siccità, succedeva, che l’acqua non bastasse per tutti, perciò, soprattutto nel periodo antecedente la prima guerra mondiale, gli abitanti per far fronte al fabbisogno idrico, si recavano a piedi fino alla località Rožìčnik. Lì si trovava una caverna artificiale, reallizzata durante il periodo bellico, nella quale si raccoglieva acqua pulita e fresca. Il percorso da fare per raggiungere la caverna era molto lungo e scabroso, con rami pungenti di ginepro che costituivano un problema di non poco conto per la gente sprovvista di calzature. Perciò, in caso di bisogno succedeva anche, che si andavano a chiedere l’acqua alle famiglie che possedevano un pozzo. Ciò non era piacevole, dato che nel periodo di siccità la gente dava malvolentieri l’acqua. Questo spinse i Pùnkerji a scavarsi i propri pozzi, e, per esempio nel 1949 fu finito il pozzo della famiglia Petelìn. L’acqua dello Studenc era sempre molto fresca e pulita. I Pùnkerji infatti dedicavano molto tempo alla pulizia del catino ed almeno una volta all’anno, solitamente d’estate, ne pulivano il fondo, rimuovendo la terra che vi si depositava durante l’anno. A differenza degli stagni na Glògu, na Močìlu e v Lòkvi nello Studenc non vivevano le rane. Per evitare la riproduzione di insetti nell’acqua vi buttavano dentro qualche pesce rosso, che venivano occasionalmente portati da Trieste dalle mlèkarice (mandriane, addette alla vendita del latte a Trieste). Talvolta si soffermava allo Studenc qualche libellula. Forse sarà anche vero che questi insetti segnalano la presenza dei serpenti, dato che i paesani vedevano molto spesso vicino all’acqua qualche carbone o qualche biscia dal collare. Pare comunque, che nel passato c’erano più serpenti che nei giorni nostri. Si dice, che sul sentiero che conduceva fino allo Studenc, presso la ul’ca (passaggio) tra la proprietà dei Pìpanovi e Klnkìčevi viveva una vipera centenaria che nessuno riusciva a prendere.
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